Una gioventù sessuale liberata (o quasi)

Recensione di Thérèse Hargot Una gioventù sessuale liberata (o quasi) (ed. Sonzogno, 2017)

In Italia, i soggetti in carico agli Uffici di Servizio sociale per i minori (penitenziari, comunità, Centri di Prima accoglienza) per reati a sfondo sessuale, alla data del 31/12/2012, erano 1.017, di cui 211 stranieri e 806 italiani. Tra loro 995 sono maschi e 22 sono femmine (sono compresi Detenzione di materiale pornografico e Pornografia minorile). Di questi 1017 soggetti 579 sono colpevoli di violenza sessuale e 328 di violenza sessuale di gruppo. Di questi 1.017 ben 252 sono stati presi in carico per la prima volta nell’anno 2012. Sono coinvolte le province di tutta Italia. In Italia pochissime sono le ricerche che si sono occupate di affrontare il tema della violenza all’interno delle giovani coppie, ancora di meno gli studi che hanno specificatamente indagato le aggressioni sessuali, di varia natura, che in questo stesso contesto possono essere agite. I dati a disposizione sono allarmanti: il 16% dei 1553 ragazzi e ragazze fra i 12 e i 18 anni raggiunti nel 2014 da Telefono Azzurro e DoxaKids ha riferito di conoscere un coetaneo/a che ha raccontato di aver subito pressioni per avere approcci o rapporti sessuali non voluti.  (Fonti Globalist syndication e articolo di Laura Pomicino su Giulia Giornaliste.)

Questi dati sintetici ma significativi sono il motivo per il quale ho considerato utile e significativo recensire il testo di Thérèse Hargot Una gioventù sessuale liberata (o quasi).

La rivoluzione sessuale ha portato la liberazione da dogmi e tabù, da divieti e oppressioni psicologiche? A partire da questa domanda, oltre che dalle tante domande che le rivolgono ragazze e ragazzi durante i corsi, la sessuologa belga Thérèse Hargot invita a riflettere sul termine liberazione e libertà.

Se libertà significa poter scegliere, dice la dottoressa, allora siamo ben lontani dall’averla raggiunta! I ragazzi e le ragazze sono liberi di accedere a molti siti pornografici fin dall’età della scuola primaria: il risultato è che sono subissati di immagini che non sono pronti a capire ma che a livello inconscio stimolano in loro pulsioni fortissime e fuori dalla portata della loro età fisica e anche della realtà. Quand’anche infatti riescano a sperimentare con qualcuno quegli impulsi indotti, non sanno davvero cosa stiano facendo e non si mettono in relazione con la persona che hanno davanti, perché non sono ancora abbastanza maturi per farlo. Ne viene un senso di paura, frustrazione e di inadeguatezza. Non è una scelta libera e consapevole, tanto più che le immagini pornografiche creano dipendenza e paura di doversi per forza adeguare ai modelli imposti dalla moda culturale del momento.

Quanto ai numerosi corsi di educazione sessuale, si sono troppo spesso risolti in una banalizzazione della relazionalità e in una trasmissione di informazioni meramente igieniche e meccaniche. Questo approccio ha trasformato il sesso, nella visione degli adolescenti, in un’esperienza fisica standardizzata e obbligatoria da una parte e pericolosa dall’altra, essendoci troppo spesso, da parte dell’adulto, la sola preoccupazione di scongiurare malattie e gravidanze indesiderate. Minore libertà, in tale contesto, c’è per l’espressione di sé da parte del giovane, delle sue emozioni, delle sue ansie e, dove necessario, del bisogno di attesa di una maturazione più lenta e graduale.

La realtà della società italiana è quella di proporre quotidianamente una comunicazione eroticizzata, con costanti riferimenti sessuali senza  prevedere momenti di sensibilizzazione e informazione su questa tematica rivolti alle nuove generazioni. L’autrice descrive una realtà educativa francese dove l’educazione alla sessualità è maggiormente sostenuta e praticata ma questo non le impedisce di porsi la domanda. È questa la libertà a cui siamo arrivati? La sua esperienza di insegnante di corsi di educazione sessuale l’ha posta di fronte a come sia difficile rendersi conto di come una esperienza vissuta come liberatoria possa, con il tempo e i cambiamenti di contesto, diventare essa stessa uno stereotipo.

Attraverso il racconto di aneddoti e storie reali ci conduce a riflettere sulla cosiddetta liberazione sessuale delle donne e su che cosa resta del femminismo degli anni Settanta.

I differenti capitoli del libro sono strutturati sulle domande che ragazzi/ragazze hanno rivolto all’autrice. Domande circolari attraverso le quali Thérèse Hargot scrive della coppia, dello stare insieme solo per non stare soli, delle persone che fanno qualcosa solo per piacere alla propria metà. Ci parla di omosessualità, di come capire il proprio orientamento sessuale, delle malattie trasmissibili, dello sfruttamento del corpo, dell’aborto, della pillola, insomma di tantissime cose importanti e attuali, che fa sempre bene leggere e conoscere.

Marina Mariani

Un figlio è per sempre. Riflessioni sulla tutela della continuità degli affetti

Gli autori e le autrici del volume condividono un sogno: che nessun figlio debba mai più pronunciare parole come “non voglio vedere più la mamma, non voglio vedere più il papà”. Scritto da professionisti che si confrontano ogni giorno con le relazioni familiari, questo libro è pensato per tutti, perché tutti siamo parte di una famiglia. Ciò significa avere relazioni e confrontarsi, crescere insieme e poi allontanarsi; lasciarsi, ritrovarsi e a volte scontrarsi.

La relazione non è sempre facile e quando una coppia si trova in difficoltà deve riconoscerlo e saper cercare aiuto affinché i figli non ne paghino le conseguenze. Proprio per questo motivo il testo si rivolge agli operatori – assistenti sociali, psicologi, avvocati, giudici e insegnanti – che a vario titolo si occupano di famiglia.

Con uno sguardo interdisciplinare raccoglie contributi differenti uniti però da un comune denominatore: il desiderio e la convinzione che lavorare in questo campo voglia dire mettere da parte le armi affilate. Avvocati e giudici dovranno sapere prendere le distanze dalla loro tradizionale abitudine al conflitto; psicologi, mediatori e assistenti sociali dovranno aiutare le coppie a trovare un nuovo equilibrio e a non esasperare il rapporto, ricordando ai genitori che i figli sono figli, non armi: un figlio è per sempre, oltre la separazione. Tutelare la continuità degli affetti è infatti un diritto dei figli e un dovere degli adulti nei loro confronti.

Questo libro offre suggerimenti concreti a chi sta vivendo un momento difficile della propria vita e uno spunto di riflessione professionale a chiunque si occupi di questa materia. Perché non ci siano più figli orfani di genitori vivi.

Lucrezia Mollica (a cura di), Un figlio è per sempre. Riflessioni sulla tutela della continuità degli affetti, Franco Angeli, 2020

Scheda e indice del libro

Diagnosi e Destino. Di Vittorio Lingiardi

“Tutti prima o poi riceviamo una diagnosi”  questo è il perentorio enunciato che ci accoglie all’inizio del libro Diagnosi e destino (Einaudi, 2018).  Chiarisce con semplice parole quale è il tema che si vuole affrontare. Vittorio Lingiardi (psichiatra, psicanalista e professore ordinario di Psicologia dinamica presso La Sapienza Università di Roma) riflette sul disagio esistenziale, psichico e sulla malattia.

Partendo da un atto apparentemente scontato: la diagnosi l’autore  si interroga su come una persona l’accoglie e sull’impatto sulla relazione medico-paziente e all’interno della rete sociale del malato. Capitolo dopo capitolo l’enunciato iniziale sintetico e perentorio permette al lettore di esplorare il rapporto delle persone con la malattia, con i medici ma anche il rapporto dei medici con i propri pazienti, la malattia stessa, le loro resistenze e la responsabilità della diagnosi. Alla fine della lettura sperimentiamo a pieno titolo il significato della parola greca diagnosi: conoscere attraverso. Tocchiamo attraverso testimonianze letterarie, storie di vita il processo conoscitivo compiuto da chi formula la diagnosi ( medico/clinico) e di chi la riceve (paziente/familiari).

Nel primo capitolo intitolato Diagnosi e tormento si esplora il saggio  di Susan Sontag  di Malattia come metafora. Vengono evidenziati quei passi che consentono di comprendere come la rappresentazione di una malattia, fatta attraverso le metafore biomediche e sociali,  abbiano un forte impatto nell’accogliere o rifiutare la diagnosi da parte delle persone che vivono la malattia.

Attraverso le parole della Sontang (da molti considerata una pioniera della medicina narrativa) Lingiardi affronta quel delicato equilibrio  che esiste tra descrizione della malattia (diagnosi) e la sua verbalizzazione. E’ qui che si gioca il rapporto tra medico e paziente, tra verità e responsabilità, tra fiducia e le tante identità del paziente:

“sono quello che vuole sapere la diagnosi, sono quello che non la vuole sapere la diagnosi, sono quello che la sa, ma non vuole sentirne pronunciare il nome, sono quello che vorrebbe essere coccolato e consolato…….”

Per sottolineare quanto questo momento abbia un impatto sulla compliance della cura l’autore cita le parole di Karl Jasper ( psichiatra del secolo scorso): la diagnosi deve rappresentare “un tormento” per il clinicoperché mette in gioco la capacità del clinico di sostenere l’impatto di una diagnosi (sul paziente) e la capacità del paziente di accoglierla e affrontarla

E’ in questa dialettica che il medico deve saper servire contemporaneamente l’obiettività medica e quella della psicologia individuale. Essere in grado di trovare un equilibrio tra la tensione di informare il malato (e i suoi cari) e quello di consentire al paziente di dosare speranze e aspettative assimilando le informazioni ricevute.

Infatti non tutti arriviamo all’appuntamento con la malattia sostenuti o tenuti per mano dalla razionalità.

La malattia segna un prima e un dopo. Segna un confine tra il sentirsi sano e scoprire che il mio corpo può aver rotto quella alleanza che consideravo fondante il mio essere.  La malattia mette di fronte ad un limite, fa fare i conti con la mortalità ma è anche quel momento in cui il nostro sistema di difese psichiche e immunitarie si attivano. Le diagnosi sono storie che raccontano il nostro rapporto con la “macchina  del corpo” la sua vitalità, la sua debolezza.

Scrive Lingiardi “La pratica clinica è fatta di racconti. La diagnosi stessa può essere vista come un tentativo di dare una trama a eventi apparentemente non collegati”. Non solo la diagnosi ma anche la voce del paziente è la chiave del processo diagnostico, voce che diventa il cuore della relazione clinica e per questo deve incontrare una adeguato ascolto perché da questo “cuore” nascono quei processi e quelle resistenze che possono agevolare la guarigione o ritardarla.

Diagnosi e difese è il tema del secondo capitolo  dove  anche all’interno di questo capitolo siamo guidati dalla narrazione di alcuni scrittori/ scrittrici, uno su tutti Philip Roth che in Patrimonio  racconta gli umori, le miserie, la stanchezza ma anche la determinazione di un malato: suo padre.

La malattia attacca e trasforma l’organismo ma attacca e trasforma anche la mostra identità: l’incontro con la malattia implica una ridefinizione della propria soggettività. Comprendere ed ascoltare se stessi/stesse è fondamentale tanto quanto trovare la voce per esplicitare il proprio disagio, i propri bisogni, desideri e aspettative. Questo ci permette di non considerarci tutt’uno con la malattia, di non fare della malattia la parte per il tutto e di gestire il cambiamento in corso d’opera. E’ all’interno di questo capitolo che Lingiardi si chiede  come affrontiamo la malattia? Malattia che  come scrive Sontag  ci catapulta “ nel lato notturno della vita”

L’impatto con la diagnosi ha evoluzioni diverse e non prevedibili. Le variabili dipendono dalla prognosi, dalla risposta alla terapia, dalla personalità del malato, dalla qualità delle sue relazioni ma anche dai suoi meccanismi di difesa.

Che cosa sono i meccanismi di difesa? Spiega Lingiardi  che

“sono il principale strumento con cui gestiamo i conflitti e gli affetti….. e di adattamento alle richieste e alle restrizioni della realtà esterna ma anche della realtà interna… Le difese sono risorse dell’Io, processi psichici, spesso sono risvolti comportamentali che mettiamo in atto più o meno inconsciamente per affrontare situazioni difficili”.

E per rispondere alla domanda di come ciascuno di noi affronta la malattia vengono esaminati i meccanismi di difesa della persona malata ma anche quelli del medico. Attraverso le narrazioni di pazienti, annotazioni mediche,  chiari esempi sono esplorate le  modalità e i  meccanismi di difesa messe in atto dalle persone.  E’ ancora il gioco, la capacità del medico  di sostenere una torsione, che lo vede dibattersi tra il caso clinico  e la storia clinica, tra l’istanza di unicità del paziente e la sua generalizzazione all’interno di una diagnosi.

E’ questo il tema del terzo capitolo intitolato Diagnosi e psiche. Lingiardi scrive che  c’è un momento all’interno del colloquio psicologico nel quale il clinico è chiamato in  causa in prima persona e questo momento si chiama restituzione. Il clinico deve restituire al paziente ciò che ha capito di lui in termini diagnostici. Il fattore critico è decidere come farlo. Una traccia per trovare il giusto equilibrio tra generale (diagnosi) e individuale (persona)  viene individuata nell’esplorazione dell’etimo delle parole clinica e diagnosi. Guidati dal significato greco di queste parole possiamo rintracciare quel percorso conoscitivo che consente una postura clinica  che  da forza al colloquio quale modo di cura condividendo le parole di Oliver Sacks :

”Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità,il cui senso è la nostra vita/–/ Per essere noi stessi, dobbiamo avere noi stessi – possedere, se necessario ripossedere, la storia del nostro vissuto. Dobbiamo “ripetere” rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi. L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità, il suo sè”.

Marina Mariani

Image: ‘Stethoscope and heartbeats on red‘ 
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Mangiare in modo sano? Impariamolo con le fiabe

Educazione alimentare di bambini e adolescenti. Suggerimenti educativi nel libro di Teresa Denise Spagnoli. Le fiabe per imparare a mangiare in modo sano. Un aiuto per grandi e piccini, editore Le Comete Franco Angeli

Con Homus dieteticus abbiamo gettato uno sguardo nel mondo degli adulti. Ora proviamo immedesimarci nel mondo dei piccoli e degli adolescenti con questo libro di Teresa Denise Spagnoli (*).

Per una educazione alimentare piacevole

Come possiamo aiutare genitori, nonni a trasmettere una educazione alimentare sana, equilibrata? Come contrastare la pubblicità martellante di merendine, chips, bibite gasate senza inculcare l’ossessione delle calorie? Come rendere piacevole l’esperienza del cibo  attraverso un rapporto sensoriale, gustativo, esente da eccessi, coerente con le necessità nutrizionali e la salute? Queste sono alcune delle domande alle quali Teresa Denise Spagnoli cerca di rispondere in modo creativo ma rigorosamente scientifico.

Non è facile cambiare una abitudine alimentare, introdurre regole alimentari che possono contrastare la seduzione di bevande o cibi trendy, molti dei quali fungono da passepartout sociale sia per adulti che bambini.  Un esempio per tutti/tutte: le patatine fritte o le caramelle.

Il libro ha come obiettivo quello di fornire dei suggerimenti educativi alle famiglie che vogliono  trasmettere ai loro figli una alimentazione sana senza che questo diventi un elemento ossessivo del vivere quotidiano. Con il supporto di fiabe, tradizionali e non, l’autrice informa sui fondamenti nutrizionali che sono alla base di una sana alimentazione. Una delle principali motivazioni alla divulgazione di una alimentazione equilibrata proviene dai molti studi sull’educazione alimentare che evidenziano come una non corretta alimentazione influenzi negativamente i livelli di attenzione di alunni/alunne. Ma anche come una inappropriata ripartizione di energia nei diversi pasti, o  un apporto insufficiente di vitamine, sali minerali o alimenti poveri di nutrimenti protettivi possano avere un impatto non positivo sulla salute di bambini / bambine e per questo  come sia fondamentale attivare fin dall’infanzia una educazione alimentare sana e equilibrata.

Perché la fiaba?

La scelta è frutto dell’esperienza dell’autrice sul campo dell’educazione alimentare(*). La fiaba – spiega – è una narrazione di immediata comprensione per i nostri giovani ascoltatori.  Essa offre  grosse potenzialità in ambito relazionale e cognitivo specialmente se letta ad alta voce, Genitori ed educatori sono guidati a riscoprirne le potenzialità.

Leggere fiabe ad alta voce permette al bambino dal punto di vista relazionale di condividere emozioni e rafforzare il proprio legame con l’adulto e dal punto di vista cognitivo d’apprendere il lessico famigliare. Apprendendo il linguaggio dei genitori il bambino inizia ad comprendere la forma e la struttura di un testo trovandosi poi agevolato nell’apprendimento della lettura e della scrittura (ricerca dell’American Accademy of Pedriatries 2014).

Inoltre  la fiaba offre la possibilità di sviluppare la capacità di risolvere problemi. Le storie tradizionali pongono problemi (l’eore/eroina hanno sempre un compito da portare a temine), risolvono problemi (con aiutanti, pozioni, bacchette magiche) e vedono l’eroe/eroina protagonisti della soluzione. Una fiaba presenta sempre un contesto di equilibrio che viene interrotto da un incidente,  si causa una situazione di crisi che proietta l’ero/ l’eroina  in un contesto non conosciuto dove viene messo alla prova. Alla fine del racconto un nuovo equilibrio viene conquistato e il nostro eroe/ eroina scopre in se abilità che non pensava di possedere o ritorna a casa con nuove scoperte. Scrive Teresa Denise Spagnoli che i racconti più efficaci sono quelli che contendono messaggi positivi e che  hanno un lieto fine.

La fiaba offre la possibilità d’ esprimere un conflitto veicolando l’opportunità di una soluzione efficace per il/la protagonista. E’ questo il potenziale nascosto che ci permette di utilizzarle per affrontare insieme ai nostri bambini/e il loro rapporto con il cibo, le loro esplorazioni rispetto al gusto e l’orientamento alimentare

Fate vitamine e fame da orsi

Teresa Denise Spagnoli ci dice che le fiabe più utili per educare i bambini, ad una sana alimentazione, sono quelle che contengono messaggi positivi collegati al cibo: “per esempio il protagonista mangiando un cibo sano cresce, libera un castello da un incantesimo”.

Attraverso la fiaba l’autrice affronta i temi fondamentali di una sana alimentazione e suggerimenti per una corretta distribuzione dei pasti durante la giornata. Nell’incontro con le fate vitamine imparo a sperimentare nuovi sapori. In “colazioni da fiaba” con Aurora esploro il regno del ghiaccio, in una fame da orso faccio la conoscenza di una palla di pelo, senza per questo dimenticare Dorino e lo scrigno dei ricordi perduti o il gran Ballo di mezza estate.

Ciascun capitolo offre tappe di un percorso che, a partire dalle evidenze scientifiche, conduce il lettore ad apprendere gli strumenti per impiegare al meglio le fiabe e sviluppare, attraverso il coinvolgimento, una equilibrata nutrizione nei bambini e negli adolescenti. Ogni capitolo è corredato da una scheda per bambini collegata alla fiaba, letta e condivisa, una scheda per educatori (per rielaborare le fiabe) e una scheda mamma/papà, nonni con molti consigli pratici  per riuscire a mettere in pratica le indicazioni nutrizionali del libro.

Consigli di lettura

Per chi  vuole approfondire mondo della fiaba
•       Morfologia della fiaba Vladimir Propp ed. Einaudi
•       Il mondo Incantato Bruno Bettelheim  ed. Feltrinelli
•       Le Fiabe Italiane Italo Calvino ed. Mondori
•       Fiabe Grimm. J.- Grimm. W ed. Einaudi

Per chi ha curiosità in campo nutrizionale
•       Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Tabelle di composizione degli alimenti Edizioni EDRA 2000
•       Cura delle malattie con ortaggi frutta e cereali Jean Valnet  ed AldoMartello- Giunti
•       Mangiare Meditterraneo Alimentazione biologica e cucina energetica Giulia Fulghesu ed tecniche nuove

Per gli amanti dei racconti culinari un piccolo assaggio
•       Estasi culinarie Muriel Barbery ed tascabili e/o
•       Ratatouille https://www.youtube.com/watch?v=ujmOP4_k7-Q

*Teresa Denise Spagnoli, dirigente medico del Servizio Sanitario Nazionale in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica, si occupa da anni dell’educazione alimentare dei bambini. Per il lavoro di ricerca, svolto nell’ambito della Nutrizione e dell’Alimentazione, ha ricevuto nel 2011 il “Premio Professionista della Nutrizione” al 5° Forum Internazionale di Nutrizione Pratica.
Cesare Lo Monaco (César), ‘autore dei disegni, è illustratore, fumettista e umorista, presente nel Dizionario degli Illustratori contemporanei www.cesarlomonaco.it

#cibo, #salute infanzia; #imparare dalle fiabe; #educazione alimentare; #mangiare in modo sano; #alimentazione

Procreazione assistita, infertilità, maternità e amore

La Procreazione medicalmente assistita (PMA) è raccontata in questo libro di Nicole Vian e Anna Marzoli in modalità molto interessante. Sono infatti collegate tra loro la narrazione ed esperienza biomedica con quella autobiografica, senza perdere di vista lo scopo di fornire informazioni utili e condivisibili alle coppie che devono effettuare la scelta della procreazione assistita (PMA).

Do i numeri perché cerco te. Storie vere di procreazione assistita, infertilità, maternità e amore (Armando, 2017)

“Cerchiamo al di là della nostra imperfetta grammatica un perfetto significato”

Nel 1994, sotto l’egida delle Nazioni Unite, la International Conference on Population and Developement (I.C.P.D.) ha stabilito il diritto delle persone a ricevere cure mediche in caso di infertilità e in tutti quei casi dove si incontra difficoltà o impossibilità a procreare. Una delle tecniche biomediche che può fornire questa possibilità è la FIVET (Fecondazione in vitro) oppure fecondazione assistita.

Come la Fivet (o fecondazione assistita), anche le altre tecniche utilizzate nella procreazione medicalmente assistita sono descritte sotto molteplici sfaccettature a seconda dell’interlocutore.

Procreazione assistita e infertilità tra linguaggio specialistico e narrazione autobiografica

Se a parlarne sono gli specialisti del settore (biologi/biologhe/ginecologi/ginecologhe) il linguaggio sarà attraversato da numeri e termini specialistici per indicare i differenti momenti del processo. Invece, il linguaggio delle coppie, direttamente coinvolte nel processo di Fecondazione in vitro è disseminato da dubbi, domande e attraversato da forti emozioni. Per gli operatori bio/sanitari può essere una esperienza professionale che offre soddisfazioni personali e di equipe mentre per le coppie  che ci si avvicinano per necessità e per la collettività (in particolare in Italia) può essere un processo differente da quello immaginato, non sempre le informazioni sui depliant dei Centri diprocreazione assistita, riescono a far comprendere quale sia l’investimento psicofisico ed emotivo che il processo di PMA (procreazione assistita) comporta. Questo accade anche per l‘infertilità dove non è semplice avere informazioni adeguate in tempo utile.

Il libro di Nicole Vian e Anna Marzoliha il pregio di rendere chiaro il processo, le difficoltà, le problematiche della procreazione assistita e dona volto concreto all’impatto dell’infertilità nel rapporto di coppia.  Il libro Do i numeri perché cerco te attraverso la narrazione biografica racconta in prima persona questa esperienza.  Due sono le autobiografie che in un dialogo a quattro mani portano alla luce l’imperativo categorico di essere madre. E’ un viaggio nel profondo “blu” (dolore) tra equazioni algebriche, paura e speranza per rendere testimonianza di come si può  saper rinascere, comprendere, abbracciare.

“Dalla presenza nella vita della speranza, nel rientrare fino in fondo, fino a quando non si riesce ad essere madri. Madri di figli vivi. Madri come le madri —- senza procreazione assistita”

Il valore della testimonianza autentica

Il pregio di questo libro è di dare voce a questo processo. La prima parte è costituita dalla scrittura autobiografica.

La seconda parte, costruita per saggi brevi, affronta dal punto di vista ginecologico, psicologico le problematiche dell’infertilità, della scelta di essere genitori attraverso PMA e relativo impatto sulla vita di coppia. Psicologi/ghe, ginecologi/ghe, medici e psicoterapeuti affrontano temi cruciali dell’infertilità e dei vissuti emotivi che suscita, la gestione dei ruoli di coppia senza trascurare approfondimenti come la gravidanza dopo il cancro.

Il tema dell’infertilità è affrontato nelle sue molte sfaccettature a partire dalle cause, alle metodiche diagnostiche senza trascurare le implicazioni sulla sessualità di coppia. Si enunciando gli aspetti positivi e negativi del processo, compresa la complessa situazione del lutto perinatale.

Le due parti del libro sono collegate tra di loro da un testo, definito “una parentesi” tonda, come la pancia e le curve del cuore delle donne, in cui si affronta il delicato tema dell’adozione, come altro percorso possibile per donarsi al mondo come madri. Incastonato tra le due differenti narrazioni (quella scientifica ed esperienziale) diventa una interessante riflessione sulla maternità.

A completare i ricchi testi, è fornita una breve ma utile appendice medica.

Do i numeri perché cerco te. Storie vere di procreazione assistita, infertilità, maternità e amore
di Nicole Vian e Anna Marzoli
Ed. Armando, 2017
160 p., 20€

Recensione di Marina Mariani

Homus Dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari

Come si è modificato il nostro rapporto con il cibo, le diete, la percezione del benessere e il concetto di salute? Marini Niola, studioso  dei  simboli, riti e miti della gastronomia contemporanea, in Homus Dieteticus (Il Mulino, 2015), indaga il nostro rapporto con i regimi alimentari e il cibo in generale.

Il saggio è un viaggio nelle diete che contribuiscono a creare pratiche salutistiche ma anche morali che riguardano la salute del corpo e dell’anima, trasformandosi in precetti religiosi. Dove il cibo abdica alla sua funzione di prevenzione, nutrizione per diventare un pensiero ossessivo (cibomania), si trasforma in un arma contro il corpo, contro quei nemici che attentano alla sua perfezione immunitaria. Vengono valorizzate abitudini e comportamenti alimentari che espellono dalla tavola la dimensione della convivialità, dello scambio e il piacere del gusto.

Dieta non è semplicemente un modo di mangiare ma piuttosto uno stile di vita.

In generale con dieta si definisce una regola di condotta che ha necessariamente a oggetto il cibo ma che serve a sviluppare uno stile di vita. Un concetto ben diverso  struttura la nostra idea di dieta. Essa è esclusivamente  focalizzata sul controllo quantitativo delle calorie, del peso delle misure.

Homus Dieteticus è un breve saggio dove i regimi alimentari, ciascuno identificato nelle sue passioni e credo, vengono descritti attraverso le opportunità e le contraddizioni, ponendo attenzione sui rischi di un’adesione ideologica.

Nessun regime alimentare è migliore di un altro essendo rappresentativo di uno stile di vita, di una prassi alimentare equilibrata che riguarda la salute. Ma in  questi tempi incerti  il cibo nel suo doppio legame simbolico e normativo sta diventando una certezza, un atto di identificazione che può  indurre le persone a focalizzati  esclusivamente su una alimentazione fondata sulla sottrazione progressiva degli alimenti. Educare al cibo significa anche educare al gusto, al sano piacere di mangiare.

L’ortoressia (orthos in greco significa (giusto) orexis (appetito) è l’ossessione  di mangiare corretto, ortodosso per evitare cibi che fanno male.  I soggetti ortoressici  temono che il cibo nasconda  pericoli mortali per il loro sistema immunitario e salutistico  perciò esercitano un controllo sempre più rigoroso su qualità e tipologia degli alimenti. Essi puntano alla condanna del piacere, ad un controllo di se stessi molto prossimo alla corrente filosofica degli gnostici e a quella dei catari che professavano l’astinenza sessuale e alimentare per sentirsi più puri.

Secondo una  ricerca del Ministero della salute in Italia sui tre milioni di persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare il 15% è fatto da ortoressici. Attraverso il controllo che esercitano sul corpo pensano di poter sorvegliare ciò che li circonda. Così il cibo si trasforma in una battaglia tra il bene e il male mascherato da salute e malattia.

I ricercatori del Dipartimento della Salute della Università di Catanzaro in un recentissimo report sulla ortoressia evidenziano come siano a rischio frequente  anche gli sportivi, i vegani, crudisti e bambini condizionati da genitori che trasformano una giusta educazione al cibo in una prigione immunitaria da cui il gusto è bandito. Questo orientamento ha un impatto non solo sulle abitudini alimentari ma anche sulle abitudini sociali. I soggetti ortoressici e gli asceti del food sacrificano persino i rapporti amicali e di coppia isolandosi da chi non condivide il loro credo.

Riacquistare un sano rapporto con il cibo non è semplice può essere necessario un doppio counseling, nutrizionale e psicologico, per poter destrutturare i miti fondativi delle fissazioni ortoressiche e vincere l’ansia che è il fattore basilare di molti comportamenti del disturbo alimentare.

Otto modelli culturali fondanti le regole della cibomania.

Le lettrici e i lettori sono accompagnati, dalla sua sagace ironia, attraverso questi otto modelli. Conoscerli è un modo per  sfuggire alla rigida ortodossia che, dicevamo, rischia di diventare ossessione.

Una prima tappa è rappresentata dalla dieta de gruppi sanguigni sistema nutrizionale inventato dal naturopata  americano Peter D’Adamo basata sull’ipotesi che i gruppi sanguigni conterebbero disposizioni ad intolleranze che influenzano il sistema immunitario determinando di fatto la nostra reazione agli alimenti. Sono disposizioni di origine ancestrale e ciascun gruppo sanguigno porta la traccia di un periodo; per esempio per quanto riguarda il gruppo 0 le disposizioni si ricollegherebbero alle abitudini alimentari dei primi nuclei di caccia: la carne sarebbe d’obbligo. Invece  il gruppo B stabilisce che i nostri progenitori erano nomadi quindi consumatori di latte e derivati. Ad ogni gruppo sanguigno il suo regime alimentare.

Il posto d’onore è riservato alla dieta mediterranea scoperta negli anni cinquanta  dal fisiologo americano Ance Keye dalla Biologa Margaret Haney e riconosciuta come uno dei sistemi nutrizionali più adatti a contrastare le malattie cardiovascolari. Ma per molti esecratori dei carboidrati  (no carb diet) la famosa piramide  dell’OMS non ha alcuna validità.

Segue a ruota la dieta paleolitica promossa dell’etnolgo Vihjalmur Stefansson esperto di cultura eschimese. Dieta a base di selvaggina, frutti spontanei, radici e pesci. Infatti nel suo libro Not By bread alone (Non di solo pane) l’autore  considera l’assenza di carie negli esquimesi un elemento a favore delle diete iperproteiche. Dieta dei gruppi sanguigni, dieta esquimese e dieta mediterranea primordiale (cacciagione, pesci, uova, bacche e radici) sono definite diete paleolitiche.

Un posto di sicuro interesse è occupato dai regimi alimentari fondati sui crudismi che si basano sulla qualità alimentare e incontaminata della materia prima. E’ una cucina  che solo apparentemente  è essenziale  e  che si basa sull’arte  della marinatura e della brasatura che si può definire cibo ad una lenta cottura.

Con il  veganesimo, nato nel 1944 in nome di una obiezione di coscienza a favore degli animali, si costruisce un ponte tra pratiche salutistiche e prassi morali. Infatti il veganesimo si basa sul dato di fatto che latte, uova, miele vengono prodotti forzando le normali funzioni biologiche degli animali e vanno eliminati dalla dieta. E’ una denuncia dello sfruttamento di animali per assicurarsi una accumulazione proteica fondato sulla supremazia umana sugli altri esseri viventi. Alleati di questo pensiero sono i regimi vegetariani anche loro, come già Pitagora, favorevoli ad una moratoria alimentare in nome dei diritti del vivente.

Marina Mariani, counsellor

Homus Dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari
di Marino Niola, Editore il Mulino
13€, 145 p.