Le dieci cose da sapere prima di effettuare un test prenatale non invasivo su Dna fetale. Scheda redatta in collaborazione con Edoarda Gavazzi, genetista del Centro genetica e gravidanza
1) Quali anomalie genetiche sono ricercate dal test
Attraverso l’impiego di algoritmi matematici si definisce la probabilità post-test che il feto sia affetto da una delle principali trisomie autosomiche, le anomalie caratterizzate dalla presenza di un cromosoma in più. Si tratta della trisomia 21, nota come “Sindrome di down”, delle trisomie 18 e 13 che rendono conto del 50-70% del totale delle anomalie cromosomiche. Il test rileva anche la possibilità che il feto sia affetto da aneuploidia dei cromosomi sessuali, e recentemente alcuni kit commerciali hanno esteso la ricerca anche alle 5 sindromi da microdelezioni più comuni, le anomalie dovute alla perdita di piccolissimi frammenti di cromosoma.
2) È un test di screening, non è un test diagnostico
Significa che individua una probabilità di presenza di una delle anomalie cromosomiche ricercate. Per la trisomia 21 (Sindrome di Down) l’attendibilità statistica è del 99%, con tassi di falso positivo e negativo molto bassi compresi tra lo 0,1% e 0.5%.
3) Non sostituisce villocentesi e amniocentesi
Villocentesi e amniocentesi sono esami invasivi effettuati con prelievo di tessuto placentare o liquido amniotico. Sono diagnostici perché fotografano tutte le anomalie di tutti cromosomi con grado di affidabilità del 99%. Il test non invasivo può essere utile per orientare rispetto alla opportunità di ricorrere a questi esami invasivi, ma la decisione se farli o meno deve essere presa considerando diversi fattori con uno specialista.
4) Non sostituisce bi-test e translucenza nucale
Il bi-test si effettua alle fine del primo trimestre (12° settimana di gestazione). Si compone di un esame ecografico che misura la “translucenza nucale” https://it.wikipedia.org/wiki/Translucenza_nucale e da un esame bio-chimico su prelievo di sangue materno. Questa analisi predice circa l’80% delle sindromi di Down. Questo è l’esame di screening parzialmente rimborsato dal Sistema sanitario nazionale ed è inserito tra gli esami di routine della gravidanza. Il test non invasivo su sangue materno deve essere proposto solo dopo il bi-test, con una valutazione che integri i risultati del bi-test con l’anamnesi familiare.
5) Deve essere collegato e preceduto da un accurato controllo ecografico
Questo controllo va fatto intorno alla dodicesima settimana e deve essere effettuato da operatori accreditati.
6) È validato per tutte le donne in gravidanza, anche quelle sotto i 35
Significa che il test del DNA fetale da sangue materno può essere utilizzato dalle future mamme che non presentano particolari fattori di rischio, quindi anche dalle donne giovani, che abbiano già eseguito una prima ecografia con esito buono e dunque con un rischio abbastanza basso di malformazioni fetali, ma siano molto preoccupate dall’idea di avere un bambino con la sindrome di Down, e che desiderano quindi sapere quanto è probabile che il loro bambino sia affetto da una delle trisomie più diffuse, senza esporsi al rischio di aborto dato da villocentesi ed amniocentesi
7) Prima di ricorrere a questo test, la coppia dovrebbe sempre fare una consulenza genetica
L’opportunità di ricorrere a questo test deve essere valutata dopo l’anamnesi familiare. Prima di decidere a quale esame di diagnosi prenatale sottoporsi, la coppia dovrebbe sempre poter effettuare una consulenza genetica, che la aiuti a compiere la scelta più adatta alla propria situazione.
8) Il centro che offre questo test deve essere in grado di offrire anche la consulenza post-test.
È prescritto dalle Linee guida: “I Centri che erogano il test devono avere competenze nella diagnosi ecografica e nella diagnosi prenatale, devono essere in grado di fornire la consulenza pre-test e post-test, devono essere collegati con un servizio di genetica medica e con il laboratorio che effettua il test, che deve essere certificato, deve partecipare ai controlli di qualità nazionali ed internazionali ed essere dotato di personale con competenze specifiche nelle tecniche di NGS”.
9) I test non invasivi richiedono un’interazione tra le diverse figure professionali
L’interazione tra le figure professionali coinvolte nella diagnosi prenatale (in primo luogo tra i genetisti e gli ostetrici) è superiore a quella richiesta dai test genetici tradizionali. Accertatevi che il Centro presso cui fate il test offra questa multidisciplinarietà.
10) Una buona consulenza pre-natale non può durare meno di mezz’ora
La durata e la profondità della consulenza sono indicatori del fatto che il vostro bisogno sia preso in carico nel modo corretto.
Salve, seguivo i vari commenti e mi sorgeva una domanda: nel caso di gravidanze ravvicinate, ossia a distanza di 10 mesi l’una dall’altra, il risultato del test sul dna circolante può essere falsato dalla presenza del dna del primo bimbo nel sangue della mamma? Grazie mille in anticipo.
Buongiorno Cira,
Il DNA libero di origine fetale presente nel circolo ematico materno origina dalla lisi delle cellule placentari. La frazione di DNA fetale non è più reperibile nel circolo materno già poche ore dopo il parto, e probabilmente viene eliminato attraverso l’escrezione renale. Per questo motivo il test del DNA fetale su sangue materno può essere utilizzato anche in caso di gravidanze ravvicinate.
Edoarda Gavazzi, Centro genetica e gravidanza
Buongiorno, volevo porvi un quesito riguardo il dna fetale, io ho eseguito alla 14 settimana di gravidanza il g test esaminato a tor vergata, il test è andato bene, indicando il sesso come maschile, l unico neo che alla morfologica il sesso è risultato femminile e confermato da altre eco con 3 ginecologi diversi, a tor vergata mi hanno detto che nn devo preoccuparmi perché l errore sul sesso ha un margine del 3 per cento e io rientro in questa percentuale…sto in ansia sinceramente, volevo sentire la vostra opinione in merito, grazie
Gentile Valentina,
il test del DNA fetale è un esame di screening e non diagnostico. Questo implica che ci può essere una probabilità residua di errore di analisi del campione. Risultati imprecisi possono dipendere da diversi fattori come contaminazione del campione o degradazione, eventi di mosaicismo (presenza di cellule con anomalie e non) nel feto, nella placenta e nella madre, altre varianti genetiche nella madre o nel feto, una gravidanza gemellare non riconosciuta, errori di laboratorio.
Nel suo caso, le consiglierei comunque di richiedere una consulenza genetica per discutere dell’esito ottenuto e per valutare l’opportunità di procedere con ulteriori accertamenti prenatali (per esempio amniocentesi) al fine di confermare con un esame diagnostico il sesso fetale ed escludere quindi una discrepanza reale tra cromosomi sessuali e genitali esterni.
Dott.ssa Edoarda Gavazzi, Centro Genetica e Gravidanza Milano
Salve, ho effettuato il test sul DNA fetale alla 14 settimana. La percentuale di DNA fetale è pari al 8,4% e il risultato è alto rischio per trisomia 21. Premetto che ho 35 anni e sono alla prima gravidanza. Ovviamente siamo in attesa degli esiti dell’amniocentesi. Vorrei chiedere se la percentuale di DNA fetale potrebbe essere bassa, tale da poter dare un falso positivo. La ringrazio per l’attenzione
Gentile Monica,
la frazione ottimale di DNA fetale per l’analisi del campione varia a seconda del kit commerciale utilizzato. In linea di massima la percentuale di DNA fetale pari a 8,4% è adeguata, ma come le dicevo dipende da quale test Lei ha eseguito.
Dott.ssa Edoarda Gavazzi, Centro Genetica e Gravidanza, Milano
Buonasera, il vostro articolo mi ha chiarito molti dubbi.
Vorrei fare una domanda per quanto riguarda il test di paternità prenatale mediante il DNA fetale. È davvero sicuro? È possibile avere un informazione così difficile dalla 10°settimana?
Grazie
Buongiorno Valentina. Le tecniche d’analisi del DNA sono sempre più sensibili ed accurate: esse permettono di amplificare frammenti di DNA fetale presenti nel circolo ematico materno già dalla nona settimana di gravidanza così da produrre un profilo genetico del feto utilizzabile nelle indagini di paternità. I risultati sono sicuri in quanto si basano su oltre 2500 sequenze geniche altamente variabili nella popolazione generale.
Edoarda Gavazzi, genetista del centro Genetica e gravidanza, http://www.geneticaegravidanza.it
Buongiorno , articolo molto interessante , mi chiedevo perché il test del DNA fetale deve essere proposto dopo il bi-test, considerando che è invece possibile effettuarlo due settimane prima ( dalla decima compiuta ) , grazie
Chiara
Buongiorno Chiara, giriamo la sua domanda alla genetista, le risponderemo quanto prima con un post dedicato
Buongiorno Chiara. Secondo le linee guida del Ministero del 2015 il test non invasivo su sangue materno deve essere collegato e preceduto da un accurato controllo ecografico dopo l’XI settimana, effettuato da operatori accreditati nell’esame delle XI-XIV settimane. Nel caso in cui i dati ecografici suggeriscano un aumento del rischio di patologia cromosomica nel feto, deve essere infatti valutata l’opportunita di eseguire direttamente una diagnosi prenatale invasiva per lo studio del cariotipo fetale. Inoltre, alcuni dei parametri biochimici indagati nel Test integrato (Bitest) possono fornire informazioni generali sull’andamento della gravidanza che non hanno necessariamente a che fare con la stima del rischio della sindrome di Down. In altre parole, possono fornire informazioni in più.
In ogni caso, il test non invasivo su sangue materno non va assolutamente considerato in alternativa ad un’ ecografia del primo trimestre di gravidanza con misurazione della translucenza nucale. L’ecografia, infatti, permette di analizzare in modo accurato l’anatomia fetale e di individuare anomalie che non sono per forza associate ad alterazioni genetiche e cromosomiche.
Edoarda Gavazzi, genetista