L’anemia da carenza da ferro è una delle patologie più diffuse al mondo ed il suo impatto sulla qualità della vita sottostimato, come denunciato di recente da Anemia Alliance, un’associazione scientifica che ha l’obiettivo della prevenzione. La dietista Claudia Trentani, del Ced, offre qui un’indicazione dei sintomi, delle condizioni di rischio e dei comportamenti utili a prevenire l’anemia da carenza di ferro. Si parla di alimenti, ma non solo. Ad esempio, sapevate che una corsa al parco tutti i giorni può contribuire a rendervi anemiche?…  I consigli di lettura sono in fondo al post.

Descritta per la prima volta nel 1895 da Bunge, l’anemia sideropenica è causata da una carenza di ferro ed è diagnosticata per valori di emoglobina ed ematocrito inferiori ai parametri fisiologici di riferimento.

I sintomi più comuni sono il pallore, la debolezza, la minore resistenza alle infezioni, l’aumento della frequenza cardiaca e la scarsa capacità di concentrazione.

Il ferro dunque è un elemento in traccia di grande importanza nutrizionale e la storia del suo utilizzo si perde nella notte dei tempi: egiziani, greci e romani, sebbene ignorassero la biochimica, lo somministravano ai soldati feriti perché avevano notato che ciò contribuiva a superare lo stato di debolezza dovuto alle emorragie; Ippocrate lo prescriveva ai suoi pazienti con del vino nel quale aveva immerso pezzi di ferro (1)

Sebbene presente in quantità molto modeste nell’organismo umano (circa 0.05% del peso corporeo) svolge un ruolo fondamentale perché interviene nella costituzione dell’emoglobina che trasporta l’ossigeno (attività respiratoria cellulare) ed entra a far parte di vari enzimi che svolgono ruoli fondamentali in numerose reazioni metaboliche.

Il ferro è importante anche per il sistema nervoso centrale come descritto in studi scientifici che dimostrano una riduzione dei processi cognitivi e capacità di apprendimento in bambini che non soddisfano il suo fabbisogno e in donne sottoposte a diete dimagranti molto restrittive ed incongrue (2).

Circola nel plasma legato ad una proteina (transferrina) che lo porta tessuti mentre le riserve (ferritina) si trovano nel fegato, milza, midollo osseo e muscoli scheletrici. Il pool di ferro nell’organismo (4g nell’uomo e 2.5 g nella donna) è rinnovato continuamente perché recuperato dopo la distruzione dei globuli rossi o riutilizzato.

Il fabbisogno varia in funzione al sesso, all’ età e al periodo di vita . E’ particolarmente elevato nei bambini per il rapido accrescimento, nelle donne in età fertile per via delle mestruazioni che comportano perdite ematiche periodiche, nella gravida per l’aumento dei fabbisogni specifici legate alla gestazione e nell’anziana/o per il diminuito assorbimento intestinale.

Per far fronte ai fabbisogni viene introdotto con gli alimenti ma solo una modesta quantità viene assorbita che è pari al 10-15% del ferro alimentare. Uno degli aspetti da non trascurare è la sua biodisponibilità ossia la proporzione effettivamente assorbita ed utilizzata poiché sono molteplici i componenti della dieta che la possono influenzare.

Alimenti ricchi in ferro sono il fegato e le carni rosse, i crostacei, il tuorlo d’uovo , il cacao amaro in polvere , la frutta secca e i legumi.

Si parla di ferro “eme” e ferro “non eme”: il primo si trova negli alimenti di origine animale (carne e pesce) e il secondo si trova soprattutto nei vegetali. L’assorbimento del ferro eme è più efficiente perché maggiormente biodisponibile. Alcune sostanze come l’acido ascorbico (vitamina C) possono favorirne l’assorbimento attivo migliorando la biodisponibilità: il succo di limone sui cibi aumenta l’assorbimento di ferro di circa l’80% (2) . Viceversa esistono molte sostanze come i fitati , i tannini, il calcio e la fibra che ne inibiscono l’assorbimento che avviene a livello del duodeno e del digiuno.

Anche la trasformazione industriale e il tipo di cottura possono influire sul suo contenuto nei cibi ad esempio la cottura in acqua della verdura e la cottura della carne alla griglia possono comportarne una notevole perdita.

E’ conosciuto anche un livello massimo tollerabile (UL) che risulta essere pari a 40-45 mg/die.(3)

L’assunzione raccomandata per la popolazione (PRI) nel maschio adulto è di 10 mg al giorno, nella donna dai 18 ai 59 anni di 18 mg al giorno e scende a 10 mg dopo i 60 anni.

In gravidanza il fabbisogno sale a 27 mg (2) per l’aumento del volume del sangue materno, per le necessità del feto e placenta e per le perdite durante il parto con un maggior rischio di carenza soprattutto intorno al terzo trimestre di gravidanza. Sarà il ginecologo a stabilire a seconda dei livelli di ferritina la terapia ideale: generalmente per valori di ferritina > a 70 ug/l non è necessaria alcuna supplementazione , tra 30-70 ug/l può essere necessario somministrare 30-40 mg/die di ferro solfato mentre e se la ferritina è inferiore a 30 ug/l il ginecologo può aumentare l’integrazione a 80-100 mg die .

Anche chi pratica sport in modo costante dovrebbe essere monitorato/a attentamente perché potrebbe avere un basso livello di emoglobina (anemia dell’atleta) soprattutto per l’emolisi dei globuli rossi da trauma ad esempio per l’impatto del piede sul pavimento: come nel caso del footing.

Nei vegetariani generalmente non troviamo frequenti casi di anemia forse per l’elevato consumo di vitamina C e per una maggior capacità di assorbimento del ferro dal parte dell’intestino come forma di adattamento.

 

Fonti bibliografiche:

  1. Alimentazione e Nutizione Umana (Mariani Costantini, Cannella e Tomassi). Il Pensiero Scientifico Editore 2006
  2. Viaggio negli alimenti (Colli, Rossi, Marzatico): pricipi di alimentazione. Ed. Calderini 2006
  3. LARN : Livelli di assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana, revisione 2012
  4. DRIs: the essential guide to nutrient requirement

 

Dott.ssa Claudia Trentani, Dietista, consultorio CED, volontaria

 

Image: 'Egg Yolk On Pink and Zebra' 
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