Intervento di Sandra Morano Ginecologa Ricercatrice, Responsabile Centro Nascita AOU S. Martino Genova, sullo sciopero nazionale di ginecologi e ostetriche indetto il 12 febbraio 2013. Ad astenersi dal lavoro saranno operatrici e operatori dei punti nascita ospedalieri del Servizio Sanitario Nazionale, i consultori familiari, gli ambulatori ostetrici extraospedalieri. Le organizzazioni di categoria* che hanno indetto questo sciopero, che causa il rinvio o l’anticipo di 1.100 interventi stimati, denunciano i tagli alla Sanità e il contenzioso medico-legale arrivato “ormai a livelli insostenibili”. Sandra Morano apre interrogativi sulle ragioni di questo sciopero:

la gravidanza è un mercato a buon mercato, che finora valeva la pena di incrementare con ecografie e tagli cesarei programmati (confrontare le medie di esami in gravidanza in nord Europa!), fino a quando il rilancio assicurativo, cavallo di battaglia per facili iscrizioni di alcune Società Ginecologiche che oggi sono in prima linea a denunciare le ragioni dello sciopero, è stato possibile.

Di seguito l’intervento completo di Sandra Morano

IL GRANO E IL LOGLIO

Non siamo tutti Ostetrici. E gli Ostetrici non sono le Ostetriche. Da sempre in competizione a condividere uno spazio – quello della nascita, che, come quello della morte, è stato impropriamente occupato dalla Medicina, o meglio, dai suoi canoni: l’istituzionalizzazione, le regole, le gerarchie. Oggi però appaiono uniti forse per la prima volta da quando il parto è divenuto una prestazione ospedaliera.

Beffardamente tutti i media, nel titolare “Un giorno senza nascite”, che vuole significare senza aiuto alla nascita, hanno implicitamente sbattuto in prima pagina gli esiti di quella impropria occupazione, e cioè che “I due terzi di quelle nascite rischiano di essere rinviate”.

Si tratta di parti cesarei programmati, cioè il modo in cui “normalmente” si nasce in Italia. Gli approfondimenti, da fonti del Ministero della Salute, indicano che il 99,2 % di quei neonati hanno riportato un punteggio APGAR tra 7 e 10: dunque neonati sani, nati da donne in buona salute.

Non è questa la sede per una ricostruzione della progressiva trasformazione della disciplina Ostetrico Ginecologica, l’unica che cura due persone contemporaneamente, nell’advocacy del feto rispetto alla madre. L’osservazione e la misurazione di questo in utero ha prevalso sulle millenarie competenze della donna, per cui dalla incapacità ad essere accompagnata dalla “sola “ostetrica alla incapacità a partorire per l’obsoleta via vaginale il passo è breve. E il gioco vale ben la candela.

Da sempre i ginecologi non godono di buona fama: cacciatori di uteri ed esperti delle nascite ad orario. Nonostante l’esistenza di una minoranza silenziosa di ostetrici che vivono in un rapporto di rispetto reciproco la sala parto con le ostetriche. Mediamente, però, lo dimostrano sempre le cifre del Ministero, la gravidanza è un mercato a buon mercato, che finora valeva la pena di incrementare con ecografie e tagli cesarei programmati (confrontare le medie di esami in gravidanza in nord Europa!), fino a quando il rilancio assicurativo, cavallo di battaglia per facili iscrizioni di alcune Società Ginecologiche che oggi sono in prima linea a denunciare le ragioni dello sciopero, è stato possibile.

Oggi rischia di non esserlo più. E non solo perché non è possibile all’infinito aderire alla migliore offerta. Ben prima dell’imminente diluvio un responsabile atteggiamento avrebbe richiesto a politici e tecnici di guardare al miglior modo di amministrare le risorse da destinare al continente “cure alla nascita”. Trattandosi per la maggior parte di donne sane, appunto, sarebbe stato facile adottare politiche di sostegno alla maternità che facessero leva proprio su quel benessere di cui, nonostante le varie spending review, gravide italiane e straniere oggi godono, come vediamo quotidianamente negli ambulatori pubblici, anche grazie a quel che ancora resta del nostro SSN.

Sostenere le competenze procreative delle donne, facilitare le scelte di maternità, dare fiducia alla crescita anche demografica è una delle prime e più importanti misure di civiltà di un paese. E costa poco. La continuazione della vita sulla terra, paradossalmente, ha più bisogno di cultura che di costosi dispositivi specialistici.

Il clima diffuso e percepito di paura e del rischio al parto, nata dal circolo vizioso sopra descritto, avrebbe solo bisogno un progetto ri-educativo, a partire dalle stesse sedi di formazione a ciò deputate, rivolto alle donne, ai media spesso troppo superficiali, alla popolazione.

E invece a questo problema è stata offerta come soluzione la riorganizzazione dei punti nascita (si fa presente che, soprattutto al Sud, la maggior parte dei centri in cui si pratica il più alti numero di TC sono strutture con numero di parti inferiore a 500/anno) e l’introduzione nei LEA del parto in epidurale. Con ciò prevedendo formazione/assunzione di altri anestesisti.

Altri specialisti in sala parto. Mentre se si richiede l’assunzione di una sola ostetrica in più per fornire quell’assistenza continuativa ed insostituibile per tutta la durata del travaglio – che chiunque abbia partorito ben ricorda – (il famoso rapporto one-to-one-una ostetrica/ una donna- previsto in tutte le LG ) la risposta è di questi tempi troppo spesso negativa. In un paese civile l’outing generato da questa specifica e finora inaudita proclamazione di sciopero delle sale parto-operatorie porrebbe qualche quesito a chi si occupa della salute del paese.

Le condizioni in cui da tempo ormai si nasce in Italia avrebbero dovuto ispirare ben altre forme di protesta agli organismi collegiali delle Ostetriche, e ben altra pasionarietà nel preservare un’antica arte in via di estinzione.

E’ vero, il livello di guardia del contenzioso medico legale contro la classe medica ha raggiunto dimensioni sproporzionate anche solo in relazione ad altri paesi europei, e tutti noi professionisti quotidianamente ne siamo tanto consapevoli quanto esposti. Ma per quanto riguarda l’area ostetrica, più ancora che per quella chirurgica in generale, bisognerebbe ricordare che la gravidanza non è una malattia e che la nascita fa parte della normalità dell’esistenza. Che centinaia di evidenze scientifiche da alcuni decenni hanno dimostrato che i migliori esiti si ottengono quando le cure sono erogate da personale non specialistico.

E’ difficile rinunciare a terreni di conquista, ma è necessario, in un’analisi “scientifica”, distinguere responsabilità, professioni, vocazioni. Chi tra tutti gli attori sulla scena della nascita (e della crescita del paese) vuole iniziare a fare un passo indietro-o un passo avanti- dimostrando, come nella parabola di Salomone, di avere veramente a cuore la salute e il benessere delle donne ?

Intervento di Sandra Morano Ginecologa Ricercatrice, Responsabile Centro Nascita AOU S. Martino Genova

* SIGLE DI CATEGORIA – Lo sciopero è indetto dalle principali associazioni di categoria: Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), Società italiana di ginecologia (Sigo), Associazione ginecologi universitari (Agui), Federazione sindacale medici dirigenti (Fesmed), Associazione ginecologi territoriali (Agite), Società italiana di ecografia ostetrica e ginecologica e metodologie biofisiche (Sieog) e Associazione italiana di ostetricia (Aio).